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highlands

2018, scozia

Attraverso questo progetto, sviluppato in Scozia, il fotografo scopre la lentezza dello sguardo mettendo a fuoco ogni cosa e portando lo spettatore a cogliere tutti i particolari, a leggere la realtà in modo diretto, senza filtri né reinterpretazioni.

“Il grande formato, il cavalletto, la luce così com’é, […] guardare e basta.” (G. Basilico)

Ogni scatto lascia alla luce il compito di esplorare le potenzialità dell’immagine e allo sguardo il piacere di sbirciare dietro le tende di case isolate, tra i tavolini di un bar in stile anni ’60, paesaggi deserti e vasi di fiori finti affacciati alle finestre, a simboleggiare una presenza umana che non si manifesta. Gran parte del lavoro del fotografo rivela l’isolamento e l’anonimato della periferia contemporanea, evocando costanti sensazioni di solitudine e perdita.

La presenza umana, come insegnava Luigi Ghirri, non è sempre necessaria, specie se diviene mera comparsa all’interno di in un racconto: il passeggero su una nave, adolescenti che scorrazzano tra le strade di quartiere, autisti, artigiani che svolgono il proprio lavoro quotidiano, possono far percepire con più forza evocativa la loro presenza proprio attraverso l’assenza. È una poetica delle cose, che diventano eloquenti nel loro silenzio.

Queste immagini riconducono all’opera di Edward Hopper, che ha saputo interpretare gli stati d’animo dei luoghi in assenza di una narrazione tra i soggetti. Ma se in Hopper compaiono sempre persone affiancate ai paesaggi, qui è soprattutto l’artefatto umano a dominare nell’immagine. Osservando queste strutture non si riesce a non pensare a chi le abbia costruite e a cosa provi chi le abita.

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highlands

2018, scozia

Attraverso questo progetto, sviluppato in Scozia, il fotografo scopre la lentezza dello sguardo mettendo a fuoco ogni cosa e portando lo spettatore a cogliere tutti i particolari, a leggere la realtà in modo diretto, senza filtri né reinterpretazioni.

“Il grande formato, il cavalletto, la luce così com’é, […] guardare e basta.” (G. Basilico)

Ogni scatto lascia alla luce il compito di esplorare le potenzialità dell’immagine e allo sguardo il piacere di sbirciare dietro le tende di case isolate, tra i tavolini di un bar in stile anni ’60, paesaggi deserti e vasi di fiori finti affacciati alle finestre, a simboleggiare una presenza umana che non si manifesta. Gran parte del lavoro del fotografo rivela l’isolamento e l’anonimato della periferia contemporanea, evocando costanti sensazioni di solitudine e perdita.

La presenza umana, come insegnava Luigi Ghirri, non è sempre necessaria, specie se diviene mera comparsa all’interno di in un racconto: il passeggero su una nave, adolescenti che scorrazzano tra le strade di quartiere, autisti, artigiani che svolgono il proprio lavoro quotidiano, possono far percepire con più forza evocativa la loro presenza proprio attraverso l’assenza. È una poetica delle cose, che diventano eloquenti nel loro silenzio.

Queste immagini riconducono all’opera di Edward Hopper, che ha saputo interpretare gli stati d’animo dei luoghi in assenza di una narrazione tra i soggetti. Ma se in Hopper compaiono sempre persone affiancate ai paesaggi, qui è soprattutto l’artefatto umano a dominare nell’immagine. Osservando queste strutture non si riesce a non pensare a chi le abbia costruite e a cosa provi chi le abita.